10.1.07

«E' stato lui, mi ha preso e tagliato la gola»

ERBA (Como) — L'avvocato non ha avuto bisogno di dire granché. «L'hanno arrestato», ha tagliato corto. Mario Frigerio ha chiuso gli occhi: «Bene, avvocato. Per me è una conferma». «C'è un'altra cosa, è in carcere anche lei» ha aggiunto il legale, Manuel Gabrielli. Sapeva che questa seconda informazione l'avrebbe stupito e così è stato. Ma lo stupore di Frigerio, il sopravvissuto della strage di Erba, non è durato che un attimo. I pensieri, ieri, erano tutti per la sua Valeria, la moglie uccisa nella carneficina dell'11 dicembre assieme a Raffaella Castagna, al suo piccolo Youssef e a sua madre, Paola Galli. Per il massacro di quella sera sono in carcere da due giorni Olindo Romano e Rosa Bazzi, i coniugi vicini di casa di Frigerio. Lui accusato di omicidio volontario plurimo aggravato, lei di concorso in omicidio. «I Romano e i Castagna si odiavano. Ma noi cosa c'entriamo? — si dispera Frigerio in lacrime — Non abbiamo fatto niente... Io ho aiutato la procura. Adesso chiedo che mi ridiano mia moglie».
LA DONNA — Se sul conto di lei gli inquirenti si dicono consapevoli di rischiare la scarcerazione di un eventuale Tribunale del riesame perché gli indizi sarebbero «per adesso meno gravi», lui — Olindo Romano — dovrà difendersi dal punto chiave dell'indagine, la testimonianza di Frigerio. Che non ha ricostruito la scena della strage soltanto con «indicazioni confuse», come ripetono gli inquirenti. Ha raccontato tutto in dettaglio ai magistrati, precisando ogni volta di più. E l'ultima volta è stato il 2 di gennaio.
IL VERBALE — «La porta si è aperta all'inizio piano piano, poi di colpo. Ho visto lui, il mio vicino Olindo. Sembrava un indemoniato». Il supertestimone racconta che Olindo non ha detto una parola, descrive l'espressione rabbiosa del suo volto. «Mi ha sollevato di peso e mi ha sbattuto per terra» ricorda. Poi si è chinato e lo ha riempito di pugni e calci. «Sentivo Valeria che gridava, lui continuava a colpirmi». Frigerio si ritrova a faccia in giù, incassa botte in testa, sulla schiena, sul collo. «Poi mi si è messo a cavalcioni sulla schiena, non potevo muovermi». Il superstite, sottile di statura, rivive in ogni deposizione l'immobilità e il senso di impotenza di quei momenti. Ricorda che un peso enorme lo teneva schiacciato a terra. Sente la mano di quell'uomo, che a lui sembra quella di un gigante, mentre gli afferra la testa e gliela tira indietro. Descrive un gesto simile a quello visto nei video dei terroristi islamici che sgozzano l'ostaggio. Ecco. «Mi ha sollevato la testa e ho sentito una lama che mi ha tagliato la gola». Frigerio spiega le sensazioni di quel taglio, il sangue, sua moglie che urla più forte e che probabilmente lo salva. Perché a quel punto, mentre lui è faccia a terra, la furia cieca dell'assassino si sposta sulla moglie Valeria. Lei scappa, su, per le scale. Lui la rincorre e la uccide. Le ultime parole che Frigerio sente sono «Mario aiutami». Ma lui non può muoversi. Resta lì, davanti alla porta di Raffaella Castagna mentre il «demonio» scappa e il fuoco appiccato dall'assassino si avvicina sempre più. Frigerio (che ha anche ustioni al viso) adesso sta meglio. Ci vorrà molto tempo per rimettersi fisicamente. Non basterà tutto il tempo che gli resta da vivere, invece, per riprendersi emotivamente. Anche se qualche volta è lui che consola i figli. Che chiede come va, quando saranno i funerali.
IRIS — Prima di concedere l'autorizzazione per la sepoltura, la procura aspetta gli esami scientifici dei Ris previsti fra oggi e domani. In particolare quelli sulle macchie di sangue scovate con il «luminol» nella Seat Arosa di Olindo Romano: diverse e tutte sul sedile del lato guida. I test del Dna daranno chiarimenti anche sulle presunte tracce ematiche ritrovate sugli indumenti lavati (specie un paio di pantaloni) prelevati nel garage- dependance della coppia che oggi sarà interrogata in carcere dal giudice delle indagini preliminari per la convalida del provvedimento di fermo. Saranno poi analizzati anche dei sassi prelevati nella stessa lavanderia. Nell'interrogatorio di lunedì sera i due (difesi da Pietro Troiano, giovane penalista nominato prima d'ufficio e poi scelto come legale di fiducia) si sono detti tutti innocenti. Ripetono di non aver niente a che fare con il massacro dei vicini e raccontano l'alibi del «giro per negozi» e poi della cena fuori, in un locale di Como. Ma lui si sarebbe parzialmente contraddetto nella ricostruzione oraria. E poi l'alibi è quantomai debole: solo lo scontrino di una paninoteca nel centro storico di Como (dove nessuno ricorda di quei due), rilasciato a un'ora che sarebbe compatibile con l'esecuzione della strage e per di più senza alcuna indicazione del pasto consumato. Soltanto la cifra pagata. E anche il «giro per negozi», a Erba, è risultato senza riscontri: nessuno che rammenti di aver visto la coppia comprare o guardare qualcosa oltre la vetrata.
Giusi Fasano
10 gennaio 2007

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